Pari diritti… ma i doveri?

Per una reale parità tra uomini e donne occorre più equilibrio nella distribuzione degli impegni domestici.

Da diversi anni ormai la donna attraverso le battaglie e l’impegno che tutti conosciamo ha bene o male ottenuto gli stessi diritti dell’uomo in campo sociale. Diritti… Ma i doveri? Si potrebbe affermare che gli uomini in ambito domestico abbiano gli stessi doveri che implicitamente sono richiesti alle donne?
Adesso ci troviamo nella faticosa situazione in cui l’impegno femminile in campo lavorativo non è affatto sostenuto dagli uomini in campo familiare.
Quando nasce un bambino si mette alla porta un fiocco celeste, se nasce una bambina un fiocco rosa.

Crescendo però, la donna inizia ad usare anche il celeste mentre per i maschi non avviene mai lo stesso. Nel senso che durante l’evoluzione dei due individui è sempre la donna che fa proprio anche il campo maschile ma non è mai il contrario. Perché? Perché deve essere considerato umiliante o disdicevole da parte dei maschi tutto ciò che è di pertinenza femminile? La separazione dei sessi viene rigorosamente tenuta viva fino dall’infanzia, a partire dai giochi, che sappiamo bene quale importanza rivestano nella formazione degli individui, per arrivare alla diversa impostazione emotiva nei confronti degli eventi della vita dove la donna può piangere e l’uomo, se è forte e valente, no.

Quando si cresce e ci sposiamo la donna viene accompagata all’altare dal padre e simbolicamente consegnata ad un altro uomo e lì entra a far parte della famiglia di lui, con perdita del più prezioso requisito sociale, l’identità. Infatti in molti paesi del mondo alle donne in occasione del matrimonio viene cancellato il proprio cognome e sostituito con quello del marito. In Italia ci limitiamo a denotare questa situazione mantenendo il nome alla donna ma specificando “in”… Non è anche questo un profondo segnale di disparità visto che non è reciproco? E che dire poi del divieto imposto alla donna di trasmettere il proprio cognome ai figli? Anche volendo, non può farlo perché la legge lo impedisce.

Abbiamo allora davvero gli stessi diritti e gli stessi doveri? O piuttosto continuiamo il processo iniziato nell’infanzia percorrendo due rotaie parallele destinate ad incontrarsi solo in un punto all’infinito, che non esiste perché solo apparente?
Ancora oggi, nonostante tutti gli sforzi tesi al cambiamento, rimangono attivi i principi per cui se una donna non sa svolgere le attività domestiche non è considerata una donna completa mentre i maschi sono osannati appena mettono una pentola sul fuoco.

Ma partecipare coscientemente ad un menage familiare è altro e deve assolutamente passare attraverso un cambio radicale di mentalità prima ancora che di fatto. Questo è lo scopo dell’Associazione: far sì che il lavoro domestico entri a far parte del pensiero maschile come un’evidenza quotidiana.

Se iniziamo noi uomini a sentire questa attività come normale nella nostra vita lentamente le barriere di genere si andranno estinguendo fino ad arrivare in un futuro, spero molto prossimo, in cui ogni individuo al di là del proprio sesso sarà libero di svolgere l’attività che più gli aggrada senza subire il peso della discriminazione. Nessun uomo sarà mai felice di dichiarare che è un casalingo se a questa professione non si comincia ad attribuire una dignità sociale. E nessuna donna arriverà mai ad ottenere un elevato peso sociale se non le si consentirà di trasmettere il proprio nome ai figli che proprio lei ha generato.
Fiorenzo Bresciani

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